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Il Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 534 e seguenti afferma che la preghiera cristiana è relazione personale e viva dei figli di Dio con il loro Padre infinitamente buono, con il Figlio suo Gesù Cristo e con lo Spirito Santo che abita nel loro cuore.

Don Giussani diceva: “Essere uomini è pregare e pregare è prendere coscienza di Dio, della sua presenza nella propria vita”. Preghiera intesa come sguardo di fede che percepisce le cose e interpreta gli avvenimenti alla luce della realtà divina. Il cristiano è colui che prende coscienza di essere voluto, amato, penetrato da Dio, tramite Gesù Cristo, nel Battesimo.

Noi preghiamo Dio perché il nostro essere è fondato in Dio: Dio come essere onnipotente e noi come parte di Lui e vogliamo essere in comunione con Lui. Dobbiamo riscoprire la dimensione contemplativa della nostra vita quotidiana, durante le normali occupazioni di tutti i giorni. Chi è “innamorato” non pensa forse sempre all’amato anche in mezzo a mille faccende? Così deve avvenire col Cuore di Gesù, se ne saremo veramente “innamorati”.

Ci si chiede a volte, a cosa può servire la nostra povera e piccola preghiera di fronte alla crisi di valori che stiamo attraversando, alla povertà e alle ingiustizie, al terrorismo, alla disoccupazione giovanile. Ci sentiamo veramente impotenti e insignificanti! Eppure Gesù ha sottolineato la necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai (Lc 18,1).

Il senso della preghiera cristiana è quello che Gesù ha indicato nel momento dell’agonia: “Padre, non la mia ma la tua volontà” oppure con la preghiera sulla croce: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.  La preghiera conduce l’uomo a consegnarsi nelle mani di di Dio con fiducia e amore e dice: “Ecco, la mia vita è nelle tue mani”.

La preghiera poi, nel riconoscimento di essere alla presenza di Dio, ci apre all’altro, al fratello a cui apparteniamo nel mistero del Corpo di Cristo. La preghiera è sempre di comunione: è anche per chi non conosco, è preghiera per il mondo, è preghiera di lode, per la creazione, è preghiera di intercessione per i fratelli. I cristiani pregano anche per gli altri.

Nell’Antico Testamento la preghiera del popolo ebraico viene  sempre espressa al plurale, perché è la comunità che si pone davanti a Dio. Chi prega parla sempre in nome della comunità.

Il vertice della preghiera nell’Antico Testamento sono i Salmi. I salmi, in ebraico “libro delle lodi”, sono la preghiera del popolo d’Israele, nata e ispirata da precisi fatti e situazioni di vita nel corso della sua storia millenaria. La Bibbia ebraica divideva i salmi in cinque parti, divisione un po’ artificiale che richiama semplicemente il Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Scrittura. Nei salmi possiamo trovare tutta la gamma dei sentimenti dell’uomo. Una presentazione molto bella dei salmi inizia così: “Noi nasciamo con questo libro nelle viscere, un librettino, 150 poesie, 150 gradini eretti, 150 specchi delle nostre rivolte, delle nostre infedeltà, delle nostre agonie e delle nostre risurrezioni. Gesù, Maria, i discepoli pregavano con queste preghiere.

Gesù ha avuto una tale familiarità con i salmi che li ha citati nel suo insegnamento e nella sua preghiera, più di ogni altro testo della Scrittura.

Il cristiano che prega i salmi vede così diventare sempre più preghiera sua la preghiera di Cristo. Egli impara ad avere in sé, sempre di più, “gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù” (Fil 2,5)

Noi dunque condividiamo i salmi con gli Ebrei, dai quali gli abbiamo ereditati. Chi li proclama con consapevolezza sa che non è mai solo, ma deve sentirsi in comunione anche con tutti coloro che li hanno pregati, i santi dell’Antica e della  Nuova Alleanza. Essi sono preghiera d’Israele, testimonianza del dialogo di fede tra il popolo e il suo Dio, sono preghiera di Gesù e sono preghiera della Chiesa.

Ma quale dialogo con questo Dio? E’ il dialogo della lode, della meraviglia. Un Dio così, che ci ama per primo, che ci cerca anche quando noi non lo cerchiamo, è un Dio che ci stupisce, ci meraviglia. Ecco qual è il nostro primo modo di dialogare con Lui. Se noi non sappiamo ogni giorno meravigliarci, stupirci di questa Sua presenza, noi non sappiamo pregare.

La preghiera degli Ebrei è una preghiera visibile: il corpo vi partecipa con movimenti, prostrazioni, inchini, ondeggiamenti. Al cristiano basta la preghiera mentale, dovunque, in qualsiasi posizione. In ogni momento noi possiamo recitare la “preghiera del cuore” che consiste nel ripetere incessantemente l’invocazione che contiene il nome di Gesù: “Signore Gesù Cristo, figlio del Dio vivente, abbi pietà di me peccatore e donami il Tuo spirito d’amore” (la ripetizione costante permette di concentrare lo spirito nel ricordo di Gesù e raggiungere l’ideale del “pellegrino russo” che è quello di far coincidere la breve invocazione con il proprio respiro).

Possiamo dire che la preghiera è l’incontro della sete di Dio con la nostra sete. In Gv 4 Gesù dice alla samaritana “Dammi da bere”… Egli ci cerca per primo ed è Lui che ci chiede da bere. Si mostra desideroso di quell’acqua che serve a noi per vivere. Gesù desidera che noi lo dissetiamo con la nostra “brocca” vuota, dà un nuovo significato alla nostra vita , il nostro tran tran quotidiano diventa il “pozzo” dove dissetare Gesù. Ma accettando la nostra povera acqua ci offre la Sua “acqua viva” per ristorare noi.

 

 “Dio ha sete che noi abbiamo sete di Lui”.